Per il momento era chiara soltanto una cosa: ciascuno ha la sua vocazione, la sua missione, il suo ruolo. E tutti siamo trascinati nell’ignoto dal flusso delle concatenazioni causali in una realtà incomprensibile ma che percepiamo (singolarmente e tutti insieme).
Del resto non è un’idea nuova: «Come sferzati da spiriti invisibili, i solari cavalli del tempo traggono la carrozza lieve del nostro destino; e a noi non resta che farci animo, reggere le redini, e ora a destra ora a sinistra governar le ruote a evitare quel sasso, quel precipizio. Chi può saper dove vada? A mala pena ci si ricorda donde si viene» Nell’Egmont Goethe ha trovato queste immagini per descrivere il problema.
Altri autori ne hanno utilizzate altre.
E così noi guidiamo il carro, quindi nel corso della vita siamo liberi, almeno in parte, di fare tutto quello che ci aggrada: possiamo buttare via la nostra intelligenza o svilupparla, affliggerci o gioire della vita, amare o odiare. Il mondo sarà come lo abbiamo costruito, almeno fino a quando non affioreranno i conflitti del subconscio.
Però non dobbiamo dimenticare che, a differenza di noi, Dio ha molti giorni. Può permettersi di fare e di disfare per raggiungere una perfezione nota soltanto a lui. Gli esseri umani hanno soltanto una possibilità di diventare cocreatori dell’Universo, anziché sbiadite comparse prive di volontà: conosci te stesso e conoscerai il mondo, dicevano gli antichi. Ma a dire il vero anche loro intuivano che è un’impresa difficilissima.
E chi di noi si prenderà la pena d’intraprendere una simile ricerca?
E quanti tra i saggi noti come portatori della verità l’hanno trovata davvero?
«Sono pochi coloro che sanno da dove vengono».
Per speculare sul futuro bisogna comprendere il passato.