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Recensioni

Ingorda di vita di Elisabetta Cassone

Era un incubo, forse.

Lo dev’essere stato.

I suoi brandelli di sudore

Aderivano sulla mia pelle

Sul seno, sulla bocca,

sul pube spoglio.

 

 

Mi afferrava

Come si fa con una serpe

Che si voglia addomesticare

e all’occorrenza

bastonare

prima che emetta

il periglioso veleno.

 

 

Diceva, seducendomi,

che il mio corpo eburneo

rispecchiava

un introvabile candore d’animo.

Voleva acquietare

La bestia dentro di me.

 

 

Ora che lui non c’è più

E che dovrò orientarmi

Senza il suo amore

Patriarcale

Potrò cominciare

A respirare senza annaspare

Danzando fluidamente

Ingorda di vita.

 

 

 

Una poesia permeata da un lessico sincero, senza veli, dallo stile  aperto, mai pesante o osceno, nutrita da tonalità imprevedibili.                 

Sento l’eco di una tormento che percorre pelle e cuore, la volontà di dare corpo alle emozioni come in una sorta di confessione interiore dove regna una forma di confusione:  “Era un incubo, forse.”

Salta all’occhio un uso di forme verbali dal tono cupo, crudo,  a tratti  violento: “Mi afferrava”, “addomesticare” , “bastonare”,  “voleva acquietare”,  “annaspare”.

E’ un grido di chi, “ingorda di vita”, rivendica con indignazione di aver vissuto una sottomissione mascherata da una forma di eros dominante che egoisticamente tutto chiede e tutto pretende. E tanto più pretende tanto più  annienta nel momento in cui questo finisce e ci si ritrova da soli. “Dovrò orientarmi Senza il suo amore Patriarcale”. Solo nell’ultima strofa si respira l’aria della liberazione, del sollievo, della gioia “Potrò cominciare A respirare”, “Danzando fluidamente”.

L’amore seppur solo carnale dovrebbe essere libertà, felicità, risorsa per la vita, “respirare senza annaspare” una condizione  che nella poesia viene ritrovata “ora che lui non c’è più”.

E’ un eros che si impone come diritto di prevaricazione. L’uomo chiuso nella crudeltà innaturale del suo privilegio è prigioniero della propria desolazione se fa sentire una donna come  “una serpe Che si voglia addomesticare  e all’occorrenza bastonare”.  L’ autrice riesce perfettamente ad amalgamare i fotogrammi endogeni ed esogeni  di un vissuto  e trarne linfa poetica ponendola in un linguaggio depurato, vero….a tratti malinconico e non banale.

 

 

Elita Di Girolamo

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